La sofferenza della Polonia VII

Vilnius-Šeštokai-Varsavia
Ci infiliamo sopra un treno moderno, di quelli che sembrano fatti apposta per segnalare alla popolazione l’ingresso nell’Unione Europea, nell’Europa che conta. Si tratta del primo tratto da percorrere per raggiungere il confine, prima di cambiare treno ed entrare in Polonia. Trascorreremo un ultimo giorno a Varsavia, una notte e un pomeriggio, e poi punteremo verso l’aeroporto Chopin per tornare a casa. Ci hanno detto che in Italia si muore di caldo, che si teme un’emergenza lunga tre mesi. I sedili del treno sono durissimi, fanno venire il mal di schiena; sono posti da due in cui, ben presto, ci rendiamo conto che bisogna stare seduti in tre, seguendo i sobbalzi della linea ferroviaria. Non ci sono le tendine, in questo treno scomodo e fighetto, e le tre ore da Vilnius al confine le passiamo esibendoci in improbabili contorsioni per evitare che i raggi del sole ci buchino le cornee. Continua a leggere “La sofferenza della Polonia VII”

La sofferenza della Polonia VI

Vilnius-Kaunas-Vilnius
La Finlandia. Una lunga strada, dritta come un colpo di fucile, in mezzo a distese regolari di boschi, a casupole di legno con i tetti spioventi, talmente ripidi da sembrare, in lontananza, delle semplici costruzioni verticali, bidimensionali come i pali della luce. Il paesaggio baltico si uniforma lentamente a quello scandinavo, la terra diventa un tutt’uno, l’Europa va ad abbassarsi, ad eguagliarsi per diventare prima steppa poi lamina peninsulare, scandinava. È un pullman urbano, quello che ci fa coprire i cento chilometri che separano la prima dalla seconda città della Lituania, un pullman urbano che viola le normali leggi del trasporto, entra in autostrada e si mette a viaggiare, ad attraversare il Paese. I lituani hanno creato una rete autostradale semplice e lineare e a tratti sorprendente: circa ogni cinquecento metri il cordone di metallo che separa le due carreggiate si interrompe, dando la possibilità agli automobilisti di fare inversione di marcia, di ripercorrere a ritroso i tratti di strada già battuti e di ritornare sui propri passi. Eh, c’è poco traffico, ci sono poche macchine e pochi pericoli. Continua a leggere “La sofferenza della Polonia VI”

La sofferenza della Polonia V

Białystok-Białowieža- Białystok
Perché Białystok? Perché questo luogo di confine, questa città abbandonata, scrostata, dove sappiamo che non troveremo niente perché niente ci può dare? Perché a volte le cose te le devi andare a cercare, devi esplorare anche quello che non avresti mai detto, devi allontanarti dalla bellezza, dalla possibilità, dal fulgore. Devi vedere quello che non vedresti mai, devi raggiungere, con tutta la superficialità e la fuggevolezza di una condizione come la nostra, i confini, la periferia.
“Andrea, perché ti ostini a non voler studiare il polacco? Perché non lo impari? Cosa ti tiene lontano?”, “Giorno dopo giorno mi sto dimenticando quel poco di russo che avevo fissato nella mente. Figurati se mi metto a studiare il polacco!”. Continua a leggere “La sofferenza della Polonia V”

La sofferenza della Polonia IV

Varsavia-Łodz-Varsavia
La seconda città, per grandezza, della Polonia. La “Manchester polacca”. L’esatto centro, l’ombelico produttivo della nazione. L’emblema della crisi. La città dal nome più sorprendente, più innominabile, più illeggibile. Łodz. Woodge. Ci arriviamo senza voglia, quasi, perché sappiamo di trovarci poco e di doverci fermare soltanto un pomeriggio, senza avere la possibilità di provare a capirci qualcosa. Arriviamo in una stazione prebellica, scrostata, con un piazzale per la sosta dei pullman ampio e ingrigito, sormontato dal cubo azzurro di un edificio delle poste diroccato, rifiutato. Sembra la stazione di Vladimir. In lontananza, sopra un fatiscente palazzo di vetro, la scritta Dom kul’tury. Appiccicato a una colonna, un manifesto invita gli studenti a partecipare a dei tour estivi di vacanza: si parte con l’autobus dalla stazione di Łodz, si arriva in Grecia, in Croazia, in Crimea, al Lido Adriano, in provincia di Ravenna. Ci fermiamo un attimo nel parco fuori dalla stazione, abbiamo fame, ma prima vogliamo visitare l’unica chiesa ortodossa della città. La troviamo chiusa, come la maggior parte delle chiese ortodosse di stanza in Polonia. Troviamo una specie di caffè sulla via che porta alla strada principale del centro. Attraversiamo la strada, schivando gli innumerevoli rickshaw, che qui non sono idioti richiami per turisti (dato che di turisti non ce ne sono), ma un mezzo che gli abitanti usano di frequente per andare da una parte all’altra della lunga via principale. Entriamo, l’arredamento dà la sensazione di essere capitati in un locale dei tempi della secessione. Davide ci dice che quello, per i polacchi, è lo stile monarchico. Ah, capitiamo bene. Il menu è piuttosto vario e non proprio nazionale: ci sono delle autentiche perle, come la “trippa dell’Oltrednepr’” o gli “involtini di piccione alla maniera di Vitebsk”. Prendiamo qualcosa al volo, lo consumiamo e ci buttiamo all’esterno. Continua a leggere “La sofferenza della Polonia IV”

La sofferenza della Polonia III

Ancora Varsavia
Il ghetto di Varsavia. È un posto piuttosto difficile da raggiungere e da riconoscere, benché si trovi alle spalle del Nowe Miasto: bisogna sapere che in quella via lì, ai tempi, c’era la sinagoga, e che superando quella piazzetta là ci si trova dove una volta c’era la via del commercio. Altrimenti non si riconosce il ghetto, non si capisce dove ci si trova. A Varsavia, sulle targhette che nominano le vie, il Comune segnala anche il quartiere cui queste appartengono; il nome dell’ex ghetto è Muranow. Bisogna arrivare alla piazza Bankowy, specie di cuore economico della city, con i suoi grattacieli e i suoi palazzi neoclassici. Non siamo molto distanti dall’enorme Teatro Nazionale. Una volta giunti nella piazza, bisogna fermare qualche polacco e chiedere a lui. Stiamo attenti a non chiedere per il ghetto ebraico, che di fatto non esiste più: ci siamo segnati i nomi di alcune vie che sicuramente ne facevano parte, e chiediamo indicazioni per quelle. Continua a leggere “La sofferenza della Polonia III”

La sofferenza della Polonia II

Varsavia
Arriviamo a Varsavia la sera tardi; ci hanno messo in una dependance dell’aeroporto Chopin: si tratta di un gabbiotto di vetro e ferro, figlio di chissà quale speculazione edilizia, dove tutto è praticamente a vista: il deposito bagagli, ben visibile attraverso una membrana di plastica mentre gli inservienti scaraventano le nostre valigie sul nastro trasportatore, la zona check-in, che si incrocia con quella del controllo passaporti, la sala d’attesa delle partenze, percepibile al di là di una filigrana di cemento. Le hostess di terra sono vestite come Ninočka, e hanno lo stesso piglio che la Garbo ha nel corso del primo tempo. Girano e rigirano tra le mani le carte d’identità, a volte chiedono se quel numero lì non sia per caso una data di scadenza del documento o un diavolo di codice italiano o chissàchecosa. Le operazioni però sono veloci. Continua a leggere “La sofferenza della Polonia II”

La sofferenza della Polonia

D’improvviso mi sono accorto che sono passati dieci anni da questo viaggio e da questo piccolo reportage. Non vedo più molte delle persone che sono nominate nel pezzo, e non sono più tornato in Polonia.

Prologo veneziano
Ho i soldi chiusi dentro la cintura.
Ho nella mente da qualche giorno il profilo da falchetto di Samuel Beckett, così come appare in uno dei suoi ritratti più celebri. Sono alla ricerca della sua Trilogia, perché mi sembra che potrebbe essere un’ottima compagna di viaggio, ma non riesco a trovarla, così prendo qualche cosa quasi a caso dalla libreria, la infilo nella borsa e comincio il mio percorso di avvicinamento ad est puntando dritto verso la Porta d’Oriente nostrana, O Venezia che sei la più bella, che hai davvero la forma di un pesce, è una cosa pazzesca, a guardarti dall’alto sei realmente un pescione con la protesi branchiale della Giudecca e la coda guizzante, il culo rivolto alla Croazia e una grande ferita lungo il corpo, dentro al corpo, quel Canal Grande pieno di tedeschi, di russi, di russi a Berlino, i russi a Berlino di Kaminer, la Russendisko, la Nostal’gija, le bische clandestine.

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Elogio di un editore nell’anno del suo giubileo

Sull’Indice di questo mese è uscito un pezzo su Adelphiana 1963-2013 che altro non è se non un elogio di un’idea di editoria.
«Cercate di immaginare una casa editrice come un unico testo formato non solo dalla somma di tutti i libri che vi sono stati pubblicati, ma anche da tutti gli altri suoi elementi costitutivi, come le copertine, i risvolti, la pubblicità, la quantità di copie stampate e vendute, o le diverse edizioni in cui lo stesso testo è stato presentato». Così scriveva Roberto Calasso nel 2001, in un celebre intervento intitolato non a caso L’editoria come genere letterario. Lì, in quel testo che definisce e testimonia ciò che, negli ormai 50 anni della sua storia, Adelphi ha inteso fare, Calasso esponeva un’idea di editoria che è, insieme, un’idea di letteratura: il catalogo di un editore deve essere composto da libri che siano intesi come singoli capitoli di un unico, grande libro. Perché un editore rifiuta un certo libro?, si chiedeva infatti il presidente di Adelphi nello scritto: «Perché si rende conto che pubblicarlo sarebbe come introdurre un personaggio sbagliato in un romanzo, una figura che rischierebbe di squilibrare l’insieme o di snaturarlo». C’è dunque, sottinteso in ognuna delle scelte editoriali che Adelphi opera, un concetto che in qualche modo regge e governa tutto il catalogo fin dagli albori: quello dell’armonia. Ogni libro Adelphi è il frammento di una storia più grande, quella che in ultima analisi è la storia dell’editore stesso e del suo sogno: concentrare in un unico luogo – il Libro o i libri che compongono l’unico Grande Libro che è il catalogo dell’editore stesso – tutta la conoscenza, vecchia e nuova.

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