Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 4

Capitolo quarto. La zoppa

Šatov, Stepan Trofimovič e il narratore arrivano a casa di Liza; lì trovano, oltre alla ragazza, la madre di lei, Praskov’ja Ivanovna Drozdova, che viene presentata come una vecchia malata e sull’orlo della demenza (scopriremo presto che ciò non è del tutto vero), e tale Mavrikij Nikolaevič, un giovane allampanato che i lettori hanno già incontrato nel capitolo precedente e il cui ruolo, al momento, sembra essere semplicemente quello di cane da guardia di Liza: non parla quasi mai, ma è dove lei è. C’è quasi subito un piccolo colpo di scena: G…v rivela il suo nome e patronimico – Anton Lavren’tevič, sono i nomi di mio padre e di mio figlio – diventando a pieno titolo un personaggio, benché il suo cognome rimarrà segreto per tutto il resto della narrazione. (Perché insisto tanto sull’identità e sulla presenza di G…v? Perché la sua natura è quasi un unicum nel Dostoevskij dei grandi romanzi: è il primo narratore con il quale un lettore volenteroso potrebbe tentare un’immedesimazione e questa scelta, fatta dentro un romanzo in cui, tra le molte cose, si parla di terrorismo e clandestinità, non mi sembra innocente: mentre i personaggi faranno di tutto, a poco a poco e mentre monta la cospirazione, per vivere nel sommerso, chi racconta la storia si presenta con nome e cognome e partecipa attivamente al suo sviluppo).

Liza ha convocato Šatov perché ha un progetto editoriale: un annuario delle notizie fondamentali successe su territorio russo, stampato a libro, e che abbia l’obiettivo di «tratteggiare l’intero carattere della vita russa» e di essere messo a disposizione di studiosi e curiosi. Lei ci metterebbe i denari e l’idea, impianterebbe una tipografia in città, mentre a Šatov spetterebbe il compito del lavoro di selezione e di redazione. Šatov e Liza non si conoscono, l’ex studente la ascolta ma la guarda di traverso: perché Liza ha chiamato proprio lui? Perché qualcuno, ça va sans dire Verchovenskij jr e Nicolas, ancora in Svizzera le ha parlato di lui rivelandole tra le altre cose che egli conosce l’arte della tipografia. Šatov, per qualche motivo che al momento è avvolto nel mistero, si arrabbia moltissimo e se ne va. Nel frattempo, Liza ha mostrato ai presenti delle lettere d’amore ubriache, con annesse poesie giocose, che il capitano Lebjadkin ha preso a mandarle.

C’è poi un momento strano: prima di congedarlo, Liza trae a sé il narratore (che conosce da un paio di giorni soltanto) e gli chiede di combinarle un incontro con la sorella demente di Lebjadkin; davanti allo stupore di Anton Lavren’tevič, la ragazza insiste («io la devo vedere coi miei propri occhi e vi prego di aiutarmi») e gli fa capire che ha capito che lui ha un debole per lei (ah! Questo osservatore neutro che, nel giro di qualche paginetta, non solo si è preso un nome, ma addirittura dei sentimenti!). Confuso ed emozionato, G…v vola a casa Lebjadkin, in via dell’Epifania – ricordate?, accanto alle stanze, che si riveleranno sudice come quelle dei Marmeladov, dove abitano i Lebjadkin, abitano Liputin, Kirillov e Šatov: proprio da quest’ultimo si reca G…v, con l’obiettivo di essere introdotto a casa Lebjadkin. E qui c’è un vdrug: Šatov non è solo, ma si trova nel mezzo di un’animatissima riunione con Kirillov e un nuovo personaggio, Šigalëv (la descrizione del quale è un micro-saggio del genio e della cattiveria dostoevskiani: «Egli aveva l’aspetto di chi attende la distruzione del mondo, e non un giorno o l’altro (…) ma a una data perfettamente determinata, come per esempio dopodomani mattina, alle dieci e venticinque precise»). Appena compare G…v cala il silenzio. Uno dei Leitmotiv del romanzo è proprio il silenzio, spesso ridicolo e imbarazzato, che cala non appena qualcuno di inatteso compare in una casa. Qui Dostoevskij lascia i quattro uomini seduti, zitti «per tre buoni minuti». Più avanti, a casa di Varvara Petrovna, i minuti si ridurranno a uno, ma una vaga sensazione di oppressione e ottusità grava su tutti i personaggi, sempre, ogni volta che qualcosa li sorprende, per così dire, nell’intimo, o nell’illecito. Congedati bruscamente gli altri due, Šatov comincia a raccontare al narratore di una sua esperienza in America come operaio insieme a Kirillov (pare si siano recati laggiù per toccare con mano come vive la classe oppressa); sono tornati in Europa dopo alcuni mesi, e solo grazie a del denaro chiesto in prestito a… Stavrogin (lo ripeto, perché è Dostoevskij implicitamente a farlo: a poco a poco, si capisce che tutti i personaggi, ciascuno per un motivo particolare, sono legati a Stavrogin o gli sono debitori di qualcosa). I due uomini vanno dalla Lebjadkina, che grazie a dio è sola: è un capitoletto splendido, doloroso, dove si dimostra che la donna, zoppa, demente e in preda al delirio, vuol bene a Šatov ed è folle, ma dal quale G…v esce senza aver compreso i motivi per cui una dama come Liza voglia conoscerla.

Arriva infine la giornata in cui G…v e Stepan devono recarsi da Varvara per avere chiarimenti sulla faccenda del matrimonio: siamo nel capitoletto VII, quello che conclude La zoppa e che prelude al magnifico, pienamente dostoevskiano capitolo cinque, e lo introduce con un’analessi sulla mattinata: dopo la messa, in cui è andata in scena una piccola guerra di potere e dispotismi tra Varvara e la governatoressa Julia Michajlovna, una donna, povera ma apparentemente dignitosa, si è prostrata al cospetto di Varvara Petrovna, letteralmente inginocchiandosi davanti a lei tra la folla. Lei, magnanima, l’ha sollevata e accolta davanti a tutta la città e sotto gli occhi di Liza e di Praskov’ja: era la Lebdjadkina, che ora arriva a casa di Varvara dove, nel prossimo capitolo, si troveranno riuniti, a eccezione di Kirillov e di Liputin, tutti i personaggi che abbiamo conosciuto fin qui, in una vertiginosa sequela di vdrug  e colpi di scena da romanzo popolare che sono altrettanto tipici del modo dostoevskiano dei discorsi sul suicidio per sostituirsi a dio.

 

I capitoli precedenti: 1, 2, 3

 

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