Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 14

Capitolo sesto, Una notte laboriosa

È il capitolo della morte di Šatov, ormai decisa e inevitabile, ma che i nostri somministreranno in modo goffo, drammatico, dopo pagine di ripensamenti, fughe, deliri, litigi; si comincia con Ljamšin, Liputin e Virginskij parecchio spaventati: hanno saputo della morte di Fed’ka, che in un’ultima analisi è anche un avvertimento per loro – chiunque va contro la causa, chiunque va contro me, sembra dire Verchovenskij con questa condanna a morte, sarà ucciso. Ljamšin è a letto malato (è così che, nella notte, l’ha trovato Šatov per scucirgli il denaro nel capitolo precedente), ma si alza e va all’appuntamento, dove il primo a parlare è Virginskij, marito della levatrice: «Io so da Šatov che è arrivata sua moglie e ha partorito un bambino. Conoscendo il cuore umano… si può essere sicuri che non farà la denuncia… perché è felice…». Continua dicendo che, quando arriverà, secondo lui, sarà sufficiente chiedergli la parola d’onore che non denuncerà. Verchovenskij, naturalmente, vuole la morte (si scoprirà che l’odio verso Šatov non è solo politico, ma che Pëtr vuole la sua morte per certi trascorsi in Svizzera: pare che Stavrogin non sia l’unico ad aver preso schiaffi in pubblico da Šatov). Continua a leggere “Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 14”

Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 13

Capitolo quarto. L’estrema decisione

Pëtr Stepanovič, scalpita, gira, ciarla, difende Stavrogin dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio dei Lebjadkin; da qui alla fine del romanzo il suo sarà tutto un andare e un venire, un brigare sempre più alla luce del sole, un cospirare, un comparire all’improvviso, vdrug, e all’improvviso uno scomparire, e il tutto con un solo obiettivo: legare a sé tutti, e legarli attraverso il delitto, la paura, la colpa e una complicità obbligata e inevitabile. È questo lo scopo di una lunga conversazione con i nostri, in cui viene presa la decisione, finale e irrevocabile, di uccidere Šatov, e se ne studiano il modo e la dinamica. Insieme a Liputin va poi da Kirillov: ha bisogno della conferma definitiva della sua volontà suicida; Liputin lo segue, ma è spaventato, incerto, debole: considera Kirillov un esaltato e lo guarda da un passo indietro e, questi, Kirillov, ricevuto l’ordine di uccidersi l’indomani, non ha occhi e voce che per Pëtr, ma i suoi occhi guardano con disprezzo e la sua voce insulta – «Una sola cosa mi fa schifo» dice a Pëtr, che gli ha appena detto che vorrà essere presente nel momento fatale, di fatto per controllare che egli si suicidi sul serio, «che in quel momento ci sarà vicino a me un rettile come voi». C’è Fed’ka, a casa di Kirillov, che ha tempo per litigare con Pëtr e per schiaffeggiarlo. Poche ore dopo, all’alba, a sette miglia dall’abitato, il corpo del forzato verrà ritrovato, privo di vita. Continua a leggere “Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 13”

Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 12

Terza parte.

Capitolo primo. La festa. Prima parte

Capitolo secondo. La fine della festa

È il momento dopo il quale nulla, letteralmente, sarà più lo stesso: «Ora che tutto è passato, si dice qui da noi che Pëtr Stepanovič fosse guidato dall’Internazionale, e Julija Michajlovna da Pëtr Stepanovič, e che costei infine dirigesse, secondo le istruzioni di lui, ogni sorta di canaglie»: questo riporta G…v, per dare un’idea della catastrofe. Due momenti, questa è l’idea: le letture e poi, verso sera, il ballo; nel mezzo, niente buffet, per non distrarre la gente e perché si tratta di un evento di beneficienza, non di una gozzoviglia. Ma proprio l’assenza di buffet sarà uno dei motivi di un malumore serpeggiante tra la folla, nella quale i nostri hanno introdotto «individui appartenenti alla più ignobile feccia» che, per l’appunto, cominciano a sobillare i presenti perché manca da mangiare. Si parte con un imprevisto: Liputin sale sul palco e legge dei versi di Lebjadkin che si rivelano presto sciocchi, vuotamente provocatori, tanto che lo stesso Liputin sembra accorgersi, mente legge, di aver esagerato. Continua a leggere “Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 12”

Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 11

Capitolo decimo. Hanno sequestrato Stepan Trofimovič

Blum, “tedesco sfortunato” che aveva suggerito a Lembke di fare qualche retata nelle case dei sospetti membri della cellula, ha preso l’iniziativa (è una prolessi che mi concedo: in realtà non sappiamo ancora che è stata una decisione pienamente sua) di fare una perquisizione a casa di Verchovenskij padre, sequestrando qualche scritto e qualche libro di certi pensatori liberali europei. È un capitolo breve, leggero, che ci accompagna fuori dalla Confessione di Stavrogin e ci aiuta, in fondo, a elaborarla. Ma non è un capitolo interlocutorio, tutt’altro: non esiste questo tipo di capitoli nella produzione dostoevskiana. G…v trova Stepan Trofimovič umiliato, prostrato dalla perquisizione: si è convinto che ciò che gli è capitato parta da Pietroburgo e sia figlio di una macchinazione contro di lui che parte dalle alte sfere. «singhiozzò per cinque minuti. Io mi sentii tutto sconvolto» dice G…v «Quell’uomo, che per vent’anni ci aveva fatto da profeta, il nostro predicatore, il nostro maestro, il nostro patriarca, il nostro Kukolnik (…) singhiozzava come un bambino piccolissimo che abbia fatto il monello, nell’attesa delle verghe che il maestro è andato a prendere». Verchovenskij è convinto che lo arresteranno (non accadrà) accusandolo di essere l’ispiratore di suo figlio e della sua cricca; ma, ciò che è peggio, non si dà pace perché pensa che tutta questa faccenda farà gioire Varvara Petrovna: «Le darò un’arma contro di me per tutta la vita! Oh, la mia vita è rovinata! Venti anni di felicità così piena con lei… ed ecco!»

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Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 10

Capitolo nono (o forse no). Da Tichon (o La confessione di Stavrogin)

Chiunque recuperasse, in qualche Biblioteca nazionale russa, i numeri del “Russkij vestnik” dove, tra il 1871 e il 1872, Dostoevskij pubblicò a puntate I demonî, ma anche la prima edizione in volume (1873) e alcune delle successive, non vi troverebbe questo capitolo, che comparve per la prima volta soltanto in un’edizione uscita nel 1922, cinquant’anni dopo la sua composizione e quarantuno dopo la morte dell’autore – in un mondo che, peraltro, era molto cambiato e avrebbe presto rigettato Dostoevskij in quanto pensatore reazionario. Questo è il motivo per cui, ancora oggi, in alcune edizioni italiane, come quella di Garzanti e, se non ricordo male, la BUR, Da Tichon compare in appendice e non nel corso del testo. Dostoevskij scrisse questo capitolo a ruota del precedente, ma, per farla breve, la censura lo respinse: sicuro dell’altissimo valore del testo, Dostoevskij non lo sostituì, ma passò semplicemente al capitolo successivo, convincendosi peraltro che Da Tichon non avrebbe mai visto la luce e, per questo, riutilizzandone delle parti – le più innocenti, per così dire – nel romanzo successivo, L’adolescente (1875). Invece, al principio del Novecento, una versione alternativa di questo testo cominciò a circolare (e alternativo era anche il titolo, La confessione di Stavrogin) fino, appunto, all’edizione del 1922. Queste, in breve, le vicissitudini editoriali di uno dei capitoli più alti della letteratura russa dell’Ottocento, e dunque della letteratura tout court

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Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 9

Capitolo settimo. Dai nostri

Forse non è un caso se Stavrogin, nel capitolo precedente, ha fatto riferimento a gruppi di cinque persone, poiché G…v, riferendosi alla cellula che Verchovenskij ha assemblato in città, parla proprio di cinque persone: Liputin, Virginskij, Šigalëv, l’ebreo Ljamšin, nominato di sfuggita nella prima parte e «un certo Tolkačenko. Sono tutti presenti a casa di Virginskij, dove si discute e si litiga di argomenti politici come la questione femminile prima che arrivino Stavrogin e Verchovenskij che, pur rimanendo taciturni e in disparte, modificano l’atmosfera, generando tensione e un’attesa che Pëtr finge di non notare finché qualcuno chiede ad alta voce se «siamo in seduta». La cosa viene messa ai voti nel corso di un paio di pagine buffe e beffarde: Dostoevskij prende vistosamente in giro questi circoli che lui stesso, in gioventù, ha frequentato, mettendo in scena un’accolita di allocchi confusi e spaventati, drogati di un’ideologia che li spinge a dire cose che forse pensano, ma in astratto, poiché nel concreto la vita che conducono e in fondo desiderano è in contraddizione con i loro discorsi; accanto a questa posa, che nei più problematici e seri, come Šatov, crea disagio e conflitto, e ai più vacui dà motivo di discussione ai ricevimenti, c’è la fascinazione, la malia che emanano figure oscure come quella di Stavrogin, a cui tutti, per amore o per odio, si inchinano come se lui solo fosse portatore della verità a cui tutti aspirano. Continua a leggere “Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 9”

Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 8

Capitolo sesto. Pëtr Stepanovič negli impicci

Capitolo dinamico, di movimento, sostanzialmente speculare ai due della Notte, ma con alcune differenze sostanziali: la luce, per esempio: è un capitolo ambientato di giorno, manca dunque quell’aura di sotterfugio, mistero e delitto che ammantava La notte; il protagonista, che è Pëtr, che conferisce al testo, rispetto al tono sacrale e misterioso di Stavrogin, un’aria goliardica, di beffa ma, allo stesso tempo, di cattiveria gratuita. Si inizia dicendo che, nell’unica fabbrica del paese, quella degli Špigulin, c’è un focolaio di colera: siccome ci sono dei morti, Lembke la fa chiudere, lasciando a casa – come si scoprirà tra qualche capitolo – novecento operai. Ed è appunto da Lembe che si reca Pëtr: il governatore, per un’insana passione, colleziona manifestini e proclami rivoluzionari – la cosa lo comprometterà, ma non è questo il punto: il punto è che Pëtr lo sa, anzi, gliene ha procurati lui stesso; ora si parla di un poemetto rivoluzionario, La figura luminosa, che, a detta di Pëtr, è un ritratto di Šatov stampato e diffuso da lui medesimo. E proprio a proposito di Šatov Pëtr è venuto a parlare, apparentemente per salvarlo, come dice, ma in realtà facendo una delazione al governatore. Lembke mostra a Pëtr una lettera anonima, ricevuta il giorno prima, in cui lo si avvisa che è in preparazione una rivolta, ci saranno degli attentati: chi scrive, dice che può denunciare i colpevoli a patto di ottenere la grazia, e chiede al governatore di dare un segnale di disponibilità mettendo una candela alla finestra. Partito Pëtr – che il governatore ha informato del fatto che c’è qualcuno che vuole tradirlo – compare Blum, descritto come un uomo appartenente «alla strana razza dei tedeschi “sfortunati”», collaboratore di Lembke, che insiste affinché gli venga ordinato di fare una perquisizione a casa di Verchovenskij, poiché, ne è certo, egli è al centro di una cospirazione.

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Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 7

Capitolo terzo. Il duello

Capitolo brevissimo, che ruota attorno al duello tra Stavrogin e Gaganov. Questi, paranoico, esasperato per certi atteggiamenti tenuti da Stavrogin non contro di lui, ma contro la sua famiglia anni prima, è in preda a un odio cieco, in fondo immotivato: Nikolaj ha già porto le sue scuse, ma Gaganov le ha ritenute un’ulteriore offesa. Si porta, come padrino, Mavrikij, promesso sposo di Liza, pare, e dunque non più solo cane da compagnia, e al quale finalmente Dostoevskij dà un ruolo, seppur secondario. A Gaganov tremano le mani per la rabbia e il nervoso, a Mavrikij tremano per la paura e il senso di inadeguatezza per la situazione. Altro affronto: Stavrogin e Kirillov arrivano sul luogo convenuto a cavallo, anziché in carrozza (Nikolaj pensa dunque che non sarà nemmeno ferito e non ha ritenuto opportuno prendere una carrozza). Il duello è comico e drammatico insieme: Gaganov si lamenta perché pensa che Stavrogin, presentandogli le sue scuse, abbia voluto dimostrare la sua superiorità («Lui non ritiene possibile essere offeso da me!»), spara e manca il colpo; è il turno di Stavrogin: egli mira alto, e tutti capiscono che lo fa apposta («Vi do la mia parola che non volevo appunto offendervi, ho sparato in alto perché non voglio più uccidere nessuno, né voi, né altri, ma ciò personalmente non vi riguarda»); secondo colpo: Gaganov manca di nuovo, Stavrogin tira di nuovo alto; Gaganov è su tutte le furie; terzo e ultimo colpo: Gaganov sbaglia ancora, Stavrogin, all’improvviso, preso da una rabbia cupa, tira nel bosco poi, senza osservare l’etichetta, vale a dire senza nemmeno gettare un’occhiata all’avversario, salta sul cavallo e se ne va, lasciando Gaganov più umiliato e offeso di quanto fosse prima del duello.

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Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 6

Parte seconda.

Capitolo primo. La notte 
Capitolo secondo. La notte (seguito)

Adesso il romanzo è una vertigine e una benedizione, perché questa coppia di capitoli – non ho mai davvero compreso perché Dostoevskij abbia deciso di mantenere anche in volume questa astrusa divisione del racconto, che in queste due parti verte sulla cronaca di alcune ore di un lunedì sera caduto otto giorni dopo i fatti a casa di Varvara Petrovna che abbiamo riassunto nel capitolo precedente, otto giorni in cui, per riprendersi da scandali, crisi di nervi e schiaffi presi o dati in pubblico, i personaggi non hanno quasi fatto altro che starsene in casa e non mostrarsi in società, fatto salvo per G…v, naturalmente, che le strade del paese le ha percorse e le visite a Stepan Trofimovič ha continuato a farle, per lo meno per tenere l’amico informato ed essere aggiornato a sua volta sul poco che è accaduto – questa coppia di capitoli, dicevo, a cui restituisco un’unità in questo mio piccolo resoconto sicuro che questa non sia una mancanza di rispetto nei confronti di Fëdor Michajlovič, è stata per me, nell’ora e mezza circa di rilettura che le ho dedicato, una sorta di riapprodo: ho provato, leggendo, un’agitazione, un’emozione e una felicità così pure che non mi sarebbe possibile descriverle senza diventare sciatto e banale; così, nel cercare un modo per rendere l’idea di questo spasimo e di questa bellezza, l’unica cosa che riesco a scrivere è che, per quell’ora e mezza, io mi sono sentito a casa. Sembra poco, ma non lo è: non sono molti gli scrittori, o meglio, i libri che riescono a darmi la sensazione di trovarmi a casa; è una questione di atmosfera, di luci, di ritmo, di contenuti, nel caso di libri italiani anche di forma: esistono opere che sono il nostro patrimonio personale e privato – dieci, forse venti libri nelle cui pagine siamo perfettamente a nostro agio, perché qualunque cosa vi succeda, qualunque colpo di scena vi avvenga, qualunque delitto o pena dell’anima, noi li affrontiamo con una convinzione irrazionale e irremovibile: la letteratura è questa, la scrittura è questa, è così che si fanno i romanzi, è così si scrive e sono queste le emozioni che si provano quando si legge. Quanti sono i libri che ci danno precisamente queste sensazioni? Pochi, e ho peraltro il sospetto che si tratti di opere che abbiamo letto per la prima volta intorno ai vent’anni. Tra questi libri di casa, per me, ci sono i quattro grandi romanzi di Dostoevskij e le sue Memorie dal sottosuolo, che ho riletto per la terza o quarta volta un anno e mezzo fa.

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Lettura a tappe dei Demonî di Dostoevskij – 5

Capitolo cinque. Il saggio serpente

È un capitolo vasto, sontuoso e magnifico, che ha pochi eguali tra le cose che conosco: la riunione in cui Nastas’ja Filipovna, nell’Idiota, getta i 100.000 rubli nel fuoco, il ballo di Guerra e pace, il lungo pranzo di famiglia con cui si aprono I Buddenbrook e pochi altri. Per circa cinquanta pagine, non si esce dal salotto della casa di Varvara Petrovna, per il quale immagino due ingressi o uscite possibili: uno dalle stanze interne, l’altro tramite l’anticamera che conduce alla strada; dal primo ingresso, a un certo punto, farà capolino la taciturna Dar’ja Pavlovna Šatova (Daša), promessa sposa di Stepan Trofimovič e protetta di Varvara, dal secondo Lebjadkin e qualcun altro, il cui momento però non è ancora arrivato. È un capitolo fondamentale, e lo è per molti motivi: anzitutto, come si diceva, per la prima volta sono riuniti in un’unica scena tutti o quasi tutti i personaggi del romanzo – è evidente che Dostoevskij ha scelto una messinscena collettiva per chiudere la prima parte perché è un modo economico, per così dire, di rilanciare o far partire tutti i filoni narrativi, che finora hanno vissuto di momenti slegati tra loro, rapsodici. Qui ci sono tutti, ora, e la capacità di osservazione di G…v, il dispotismo di Varvara Petrovna, la leggerezza e l’egoismo di Stepan Trofimovič, la cupezza di Šatov, la follia della Lebjadkina, il misterioso atteggiamento di Liza devono manifestarsi e cominciare a interagire; inoltre, a Dostoevskij, che per tutti i primi quattro capitoli ha seguito le voci, i pettegolezzi su matrimoni vari, o sui lati oscuri nel passato di questo e di quello, ha ora bisogno che tutte le questioni che ha lasciato sopite vengano portate alla luce del sole, che tutti i personaggi sappiano ufficialmente, per così dire, tutto di tutti e che il lettore non abbia più dubbi sui vari intrecci e inneschi che ci sono tra gli uomini e le donne del romanzo. È, insomma, un capitolo matrice, posto non a caso alla fine di una parte piuttosto introduttiva e tradotta in larga parte, correttamente, all’imperfetto. In seguito a questa lunga scena, sembra dire Dostoevskij, il romanzo comincia davvero, da ora in poi solo passato remoto e fatti, e che fatti.

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