Il Philo-Atlas, ovvero il tempo letto attraverso lo spazio

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Quando, nel 1938, il Philo-Atlas: Handbuch für die jüdische Auswanderung (ovvero Filo-Atlante. Manuale per l’emigrazione degli ebrei) viene pubblicato a Berlino, è un oggetto per molti versi superato: contiene per esempio una mappa piuttosto dettagliata della Cecoslovacchia, uno Stato che, mentre il volume è in tipografia, viene di fatto divorato dalla Storia – quella stessa Storia dalla quale l’atlante vuole fornire una via di fuga.

Che cos’è il Philo-Atlas? È un’opera di reference, una mappa e un indirizzario – una sorta di Pagine gialle globale rivolto agli ebrei che si stanno organizzando per fuggire dalla Germania nazista; o, come è scritto nella prefazione, «è un dizionario ebraico specializzato, spiccatamente legato ai tempi attuali (…). I movimenti migratori ebraici dei nostri giorni hanno completamente trasformato la vita degli ebrei e hanno allargato di molto la sfera d’azione dell’assistenza sociale ebraica. Il singolo ebreo si trova di fronte a compiti e decisioni che richiedono una mole di conoscenze sia generali sia specificamente ebraiche. Il Philo-Atlas vorrebbe aiutare a trovare una risposta alle innumerevoli nuove domande. Ambisce a essere un prontuario per gli emigranti, una guida per gli immigrati e un anello di congiunzione tra gli emigrati e le persone rimaste».

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È suddiviso per voci, per esempio “ferrovia”, “porto”, “passaporto”, “clima”, “agricoltura”, “malattie”, quasi come se fosse una Lonely Planet, solo che ognuna di queste voci è redatta dal punto di vista dell’uomo che fugge. Dunque, alla voce “ferrovia” si trovano notizie sulla percorribilità delle vie ferrate di un dato Paese, sui documenti richiesti, sugli eventuali presidi nazisti nelle stazioni e sui binari; le città dove è possibile emigrare vengono raccontate attraverso i luoghi in cui i profughi e i transfughi possono ottenere visti, passaporti, permessi di vario tipo (e sarebbe molto interessante, a questo punto, confrontare alcune di queste voci con la descrizione di Marsiglia che si trova in un romanzo di tentativi di emigrazione come Transito  di Anna Seghers); c’è l’elenco, il più possibile aggiornato, delle fabbriche che cercano personale più o meno qualificato, e l’importanza di un Paese non è data dalla sua economia o dalla bellezza, ma dalla sua capacità di accoglienza e dalla solidità dei suoi confini. Ci sono i porti da cui si può fuggire dall’Europa (Brema, ancora per poco, e poi Lisbona, Rotterdam, Trieste) e l’elenco delle malattie da cui guardarsi, e c’è una dettagliata, splendida mappa del mondo con le distanze, espresse in chilometri, da Berlino.

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Il Philo-Atlas è, come sostiene Karl Schlögel, il grande storico tedesco dal cui libro Leggere il tempo nello spazio  (Bruno Mondadori) traggo queste notizie, «un Baedeker della fuga»: in questo senso è la  vera guida del Novecento, che è stato un secolo di olocausti e migrazioni e addii. Ma è anche un libro pieno di fiducia: un anno prima della fine del mondo immagina che la fuga possa essere ordinata, pulita, informata, e non quel caos incontrollabile che, di lì a poco, si rivelerà. È un’opera ingenua, in fondo pura, che ragiona come se il mondo continuasse a muoversi con le vecchie regole, lontane dalla follia e dall’orrore; ma lo è, ingenua, anche perché fornisce indirizzi anche a chi vuole compiere il male, segnala persone, luoghi, intenzioni.

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