L’accademia della fattura

È uscito sul Post un pezzo scanzonato che racconta di cosa deve fare, uno, per farsi pagare da un’università italiana.

Ringrazio Giacomo Papi, che mi ha proposto di scriverlo. Comincia così:

Magari avete una partita IVA, e dunque, per voi come per me, il mondo del lavoro funziona più o meno così: vi mettete d’accordo con un committente per una certa cosa da fare, definite nel modo più chiaro possibile i vostri compiti, i tempi e le modalità di consegna o di somministrazione, stabilite infine – dopo una trattativa piuttosto breve, in cui sostanzialmente annuite e accettate quel che vi è stato proposto trattenendo l’impulso di dire grazie – un compenso lordo e una o più date in cui emettere fattura. Tutto questo viene sancito dalla firma in calce a una Lettera di incarico.

Quando il fatidico giorno arriva, vi loggate con il vostro account a un sito per la fatturazione elettronica, compilate i campi (anzi: le “righe”) inserendo i dati del datore di lavoro, il suo codice univoco, la cifra pattuita, la marca da bollo, le modalità attraverso cui volete ricevere il denaro (bonifico, assegno, perfino contanti o Ri.Ba.), definite scadenze e esigibilità e inviate tutto al misterioso SdI, ovvero il Sistema di Interscambio – un’entità vasta e inesplorata, gestita dall’Agenzia delle Entrate, che riceve tutte le fatture, le controlla, le valida e le distribuisce, creando, immagino, un flusso continuo di documenti costantemente sorvegliati.

Il pezzo completo è qui

Gli Stramer, di Mikołaj Łoziński

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Questo articolo è uscito su TuttoLibri di sabato 8 luglio.

La Polonia, e in particolare la Galizia, vale a dire quella regione, oggi condivisa con l’Ucraina e ormai mitica, che comprende Cracovia e Leopoli, Oświęcim e Drohobyč, è, con la Bucovina, il centro nevralgico dell’Europa, della sua storia e letteratura. Per le sue strade, nell’ultimo secolo e mezzo, sono passate (e, ahimè, passano tuttora) tutte le guerre, i pogrom, le tensioni sociali e politiche che hanno scosso il nostro continente, e vi sono nati o vi hanno vissuto molti dei più grandi scrittori che l’Europa conosca, da Joseph Roth a Appelfeld, da von Rezzori a Bruno Schulz: essi hanno attinto a piene mani dai fatti che la Storia imponeva a quei luoghi, hanno raccontato la vita quotidiana di metropoli e di shtetl, di rabbini e di poveri cristi, di soldati e di madri di guerra e poi, quando il mondo si è ulteriormente incrudelito, hanno raccontato l’Olocausto, le deportazioni e le fosse comuni, ma anche gli orrori della collettivizzazione e delle file per il pane.

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Il Philo-Atlas, ovvero il tempo letto attraverso lo spazio

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Quando, nel 1938, il Philo-Atlas: Handbuch für die jüdische Auswanderung (ovvero Filo-Atlante. Manuale per l’emigrazione degli ebrei) viene pubblicato a Berlino, è un oggetto per molti versi superato: contiene per esempio una mappa piuttosto dettagliata della Cecoslovacchia, uno Stato che, mentre il volume è in tipografia, viene di fatto divorato dalla Storia – quella stessa Storia dalla quale l’atlante vuole fornire una via di fuga.

Che cos’è il Philo-Atlas? È un’opera di reference, una mappa e un indirizzario – una sorta di Pagine gialle globale rivolto agli ebrei che si stanno organizzando per fuggire dalla Germania nazista; o, come è scritto nella prefazione, «è un dizionario ebraico specializzato, spiccatamente legato ai tempi attuali (…). I movimenti migratori ebraici dei nostri giorni hanno completamente trasformato la vita degli ebrei e hanno allargato di molto la sfera d’azione dell’assistenza sociale ebraica. Il singolo ebreo si trova di fronte a compiti e decisioni che richiedono una mole di conoscenze sia generali sia specificamente ebraiche. Il Philo-Atlas vorrebbe aiutare a trovare una risposta alle innumerevoli nuove domande. Ambisce a essere un prontuario per gli emigranti, una guida per gli immigrati e un anello di congiunzione tra gli emigrati e le persone rimaste».

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