Il musico, l’esule, il patriarca, la nonna e la letteratura occidentale

In un romanzo che pubblicai alcuni anni fa raccontai, ma come di passaggio, di certe resistenze che Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII, esibì nei confronti di Igor’ Stravinskij all’epoca in cui era patriarca di Venezia. Mi riferivo in particolare a un episodio del 1956, quando Stravinskij, che intrattenne con la città per tutta la vita una lunga storia d’amore, nel corso delle interminabili contrattazioni per un concerto che avrebbe dovuto tenere nella Basilica di San Marco scrisse al patriarca, per il tramite del direttore artistico del Festival internazionale di musica contemporanea Alessandro Piovesan, che avrebbe volentieri aggiunto al programma pattuito la riarmonizzazione di un mottetto di Carlo Gesualdo. La risposta di Piovesan si fece attendere alcune settimane, ma infine il direttore del festival scrisse, non senza imbarazzo, che il patriarca aveva storto il naso davanti all’ipotesi di rappresentare un napoletano nella cattedrale di Venezia e che, inoltre, Carlo Gesualdo era un uxoricida – dunque non la figura più adatta per essere celebrata in una basilica. Insomma: il patriarca negava a Stravinskij il permesso di dirigere Gesualdo nella sua chiesa. La seconda motivazione di questo diniego, quella dell’uxoricidio, non mi stupì: era bigotta, ma dopotutto aveva senso; la prima, quella razzista, invece mi turbò: possibile che colui che, oggi, è conosciuto come il «papa buono» negasse asilo nella propria chiesa a un meridionale?
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