Gli intagliatori del legno

Pensieri sparsi sulla fine dei libri.

Mi sono svegliato e ho capito che i libri non esistono, che non hanno nessun o quasi nessun ruolo nella vita del mondo. Ci ho messo del tempo, a capirlo, perché il mio mondo, il mondo a cui mi riferisco e in cui vivo e che conosco da vicino è fatto di libri e di persone che lavorano coi libri: sono dunque un caso particolare, qualcuno che vive raccolto in una nicchia, come, immagino, sono una nicchia e un mondo a parte i battitori d’aste di bestiame del Nord America che hanno inventato una nuova lingua per vendere i lotti. I libri non esistono perché ormai non hanno nessun ruolo nella modificazione dell’immaginario, nella costruzione di mondi e di opinioni. L’ultimo libro ad aver fatto questo, ad aver costruito un immaginario – per così dire –, in Italia è stato Gomorra. Era il 2006, e i sette anni successivi non sono serviti quasi ad altro che alla messinscena di uno sfacelo oracolare e un abbruttimento intellettuale che ha colpito il suo autore e una buona fetta dei suoi lettori. Quando dico libri – è paradossale che mi senta in dovere di specificarlo – intendo libri veri. Che cosa distingue un libro vero da un libro finto? Una cosa che bisogna leggere da una che bisogna lasciar perdere? Lo stile, il tema, la lingua, la voce, il disinteresse per i colpi di scena (che però non sono banditi), l’ambientazione, il lavoro che, leggendo, un lettore intuisce che è stato fatto per arrivare a comporre il libro, la bellezza, il dolore, l’assoluta, palpabile aderenza che si intravvede tra il testo e la persona che lo ha scritto, la capacità, che è linguistica e di visione, di edificare un mondo, di creare un immaginario, l’assoluta credibilità dei personaggi, siano essi cavalieri erranti o assassini idealisti, la capacità allegorica di raccontare gli uomini e le loro deviazioni, la proposta di una visione laterale eppure iconica del mondo. Non ho mai amato gli elenchi, che mi sembrano scappatoie e nascono per essere incompleti, ma tant’è.

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