Speranza contro speranza, Nadežda Mandel’štam

Oggi è uscita su Tuttolibri della Stampa questa recensione di un libro che, senza alcun dubbio, sta nel numero ridotto di opere che considero fondamentali per la mia formazione di lettore e, dunque, di persona: Speranza contro speranza di Nadežda Mandel’štam, che io lessi in un’edizione che portava il titolo di L’epoca e i lupi.

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«Degli ottantuno anni della sua esistenza, Nadežda Mandel’štam ne ha vissuti diciannove come moglie e quarantadue come vedova del più grande poeta russo di questo secolo, Osip Mandel’štam. Il resto fu infanzia e adolescenza». È così che comincia lo straordinario ritratto che, a un anno dalla morte, avvenuta nel 1980, l’amico Josif Brodskij dedicava a Nadežda. Può sembrare una descrizione ingenerosa, lapidaria, ma non lo è: è un atto d’amore. Nadežda Mandel’štam aveva vissuto gran parte della sua vita sotto la sorveglianza e la persecuzione del regime sovietico e, negli anni Trenta, aveva perduto l’amore della sua vita, morto in un campo di transito siberiano in circostanze che a lungo rimasero oscure; eppure, Brodskij racconta che, a partire dagli anni Sessanta, cominciò a essere considerata una vedova “fortunata” dalla comunità intellettuale dissidente: Osip veniva finalmente riconosciuto come il più grande poeta di lingua russa del Novecento, e questo anche grazie a lei.

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Il Continente bianco per voce e batteria

Al Teatro Giuditta Pasta di Saronno, mercoledì 14 dicembre è andata in scena una lettura/racconto del Continente bianco, per voce e batteria. Con me sul palco c’era Lorenzo Borroni. Si è trattato di un esperimento, se volete di un divertimento: l’idea era quella di usare i due suoni più primitivi e più nudi che esistano – la voce umana e i tamburi, e poi di raccontare il romanzo e di leggerne dei passi.

Questo è Armonia.

Il Continente bianco – Risvolto

Questa è il testo del risvolto di copertina di Il Continente bianco, il romanzo che sarà in libreria a partire da martedì 23 agosto:

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Venticinque anni, bello come un Cristo e convinto che l’unica via per sopravvivere nel mondo sia un odio esercitato con calma e raziocinio, Marcello Croce è a capo di un movimento di estrema destra che annovera picchiatori, fanatici, ma anche teorici e figure dai tratti quasi metafisici – tutte accomunate dal fatto che, per loro, vivere è come trovarsi in guerra. Grazie anche alla connivenza con certi rappresentanti politici e alla condiscendenza con cui l’opinione pubblica, ormai, guarda a molti fenomeni legati al neofascismo, Croce porta avanti la sua idea di sovversione e, nel frattempo, frequenta Silvia, una donna della borghesia romana con la quale instaura un gioco di potere che li porterà alla perdizione.
La vicenda è ricostruita da un narratore misteriosamente attratto da Marcello e curioso di capire che cosa muova coloro che, oggi, credono in un’idea superata e violenta e la vogliono attuare. Ma c’è di più. La storia di Silvia e della sua caduta era già stata raccontata nello splendido romanzo, rimasto allo stato grezzo, che Goffredo Parise scrisse alla fine degli anni Settanta, L’odore del sangue. Il Continente bianco ne riprende temi e motivi, e sposta la vicenda ai giorni nostri, conservando nel rapporto morboso tra Silvia e Marcello la metafora potente del fascino che certe idee hanno esercitato, ed esercitano, sulla borghesia italiana.
Andrea Tarabbia, apprezzatissimo autore di Madrigale senza suono, vincitore del Premio Campiello 2019, scrive un romanzo sul potere, a volte funesto, che abbiamo sugli altri e ci regala uno straordinario ritratto di un gruppo di persone – e forse di un Paese – che danzano sull’abisso.

Andrea Tarabbia, Il Continente bianco, Torino, Bollati Boringhieri 2022, pp. 252, € 16,00

Il continente bianco

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Il libro nuovo si chiama Il Continente bianco e uscirà per Bollati Boringhieri il prossimo 23 agosto.

È ambientato nell’Italia di questi nostri giorni, a Roma, e parla di neofascisti, di dominio, di fascino, di cani con la tosse, di liquidi di dimora, di serpi, di Soroca, di Goffredo Parise, di borghesia, di violenza, di identità e di purezza, di odio, di razza, di povertà e di ricchezza, di armonia, di pietà, di prevaricazione, di Curzio Malaparte, di potere, di controllo, del bene e del male che possiamo fare agli altri, di Luigi Malerba, di utopie sbagliate, di rabbia e di marmellate, di esperimenti coi topi, di tunnel abbandonati, di code tenute a bada dentro piccoli astucci, di macellazione, di armi importate, di Babij Jar’ (o Baby Jar?), di periferie, di Renato Guttuso, di ristrutturazioni con il 110%, di Gianluca Casseri, di relazioni con i personaggi, di memoria, che a volte è sbagliata, di Arcangelo Sassolino, di Madonne del sangue, di matrimoni che falliscono, di caffè, di riscrittura, di confini, di sacrifici, di vecchi campi rom che nessuno ha sgomberato, di legionari sciocchi che non sentono il dolore, di mezzelune, della fatica e della pena e della menzogna che è scrivere, di Enrico Baj, di un sogno all’incontrario fatto a Piazzale Loreto, di un’opera letteraria usata come fonte documentaria, di libri che sono vivi, e guizzano, infine di una bambina che è dove tutto comincia e dove, forse, tutto finisce.

Saunders, un bagno nello stagno sotto la pioggia

Questa recensione è uscita su Alias domenica 10 luglio

Frutto di oltre vent’anni di insegnamento presso il corso di scrittura creativa dell’Università di Syracuse, negli Stati Uniti, l’ultimo lungo libro di George Saunders, Un bagno nello stagno sotto la pioggia (traduzione di Cristiana Mennella, Feltrinelli, pp. 499, euro 24,00) fa un po’ il punto non soltanto sul percorso accademico del suo autore, ma anche su quell’artigianato, la scrittura di short stories, di cui lo scrittore americano è un maestro riconosciuto anche fuori dalle aule. E lo fa in un modo particolare, ossia riportando per intero sette racconti prelevati dalla grande stagione della letteratura russa dell’Ottocento, e commentandoli pezzo per pezzo. Ci sono tre testi di Čechov, due di Tolstoj, uno a testa per Gogol’ e Turgenev: autori molto diversi l’uno dall’altro, scelti perché, e qui riporto alcuni concetti di Saunders, nella letteratura russa dell’Ottocento prendono vita tutti i principî fondamentali della forma-racconto e, dunque, scegliere i russi significa mettersi a lavorare sulla quintessenza dell’arte di raccontare storie; ma non solo: dice Saunders che quelli proposti sono «sette modelli in scala del mondo», sette splendide miniature della vita umana sulla Terra, costruite per porre quesiti fondamentali sulla nostra presenza quaggiù; ma soprattutto, sono testi belli, leggibili, che scatenano la curiosità di chi legge perché gli fa sembrare che quello che capita a queste Olen’ka e a questi Vasilij, ai Kovalëv e ai Semën, benché sia lontano nel tempo e nello spazio, lo riguardi da vicino.

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Arthur Larrue, La diagonale Alechin

Gli scacchi e le vite dei grandi scacchisti del Novecento, come quelle dei jazzisti, sono una fucina continua di occasioni da romanzo, tanto che si potrebbe dire che esiste, nella letteratura contemporanea, un sottogenere legato proprio alle 64 caselle della scacchiera, i cui modelli sono nobilissimi: lo Zweig della Novella degli scacchi e il Nabokov di vari titoli, tra cui senza dubbio quella Difesa di Lužin la cui struttura narrativa era modellata su certe strategie di gioco; venendo più vicini a noi, un grande artigiano del racconto come Paolo Maurensig ha dedicato agli scacchi molti dei suoi libri, e poche settimane fa Giorgio Fontana ha mandato in libreria, per Sellerio, Il mago di Riga, romanzo breve e fulminante dedicato a Michail Tal’. Ora esce per Neri Pozza La diagonale Alechin, primo titolo tradotto in italiano di Arthur Larrue, autore francese quasi quarantenne, dedicato alla vita e ai misfatti (poiché senza dubbio ne compì) di Aleksandr Alechin, genio russo degli scacchi lnaturalizzato francese e morto, in circostanze sospette, a Lisbona nel 1946. Curioso è che proprio Maurensig abbia dedicato al campione del mondo moscovita uno dei suoi ultimi libri, Teoria delle ombre: ma lì, nella sua Teoria, Maurensig si occupava degli ultimi, misteriosi giorni trascorsi da Alechin in Portogallo; qui, in questa Diagonale, Larrue copre un pugno di anni cruciali, per lo scacchista e per il mondo: 1939-1946.

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la cinquina del pop

Ecco la cinquina del Premio Opera Prima 2022:

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Filippo Maria Battaglia, Nonostante tutte, Einaudi

Maddalena Fingerle, Lingua madre, Italo Svevo

Francesca Mattei, Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa, Pidgin

Pier Lorenzo Pisano, Il buio non fa paura, NN

Bernardo Zannoni, I miei stupidi intenti, Sellerio

La finale si terrà a Milano, presso il Laboratorio Formentini per l’editoria o nella sede di Fondazione Mondadori, martedì 5 luglio alle ore 18

La decina del premio opera prima

Per il terzo anno consecutivo gestisco il POP – il Premio Opera Prima che si tiene nel contesto del Master in editoria della Fondazione Mondadori e che è giunto quest’anno alla VII edizione. Il mio ruolo è molto semplice: scelgo i dieci titoli su cui gli studenti del master lavoreranno e da cui tireranno fuori la cinquina e coordino un po’ i lavori. Poi una giuria, di cui ovviamente gli studenti fanno parte, sceglierà il libro vincitore e la menzione per il lavoro editoriale. La serata finale è prevista, quest’anno, per martedì 5 luglio.

Questi sono i dieci titoli.

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Ci sono:
2 raccolte di racconti;
1 “romanzo di racconti”;
3 “favole”, o giù di lì (questa cosa che in anni di pandemia escano storie dal sapore fantastico mi pare molto interessante, soprattutto se si pensa che si tratta di esordi);
1 libro di documenti, ma molto particolare;
1 libro scritto in italiano da una persona che non è di madrelingua italiana, 1 scritto per ragionare sul linguaggio;
1 romanzo storico, anche questo molto particolare.

Mi pare un anno molto buono, ricordiamocene la prossima volta che ci verrà da lamentarci del fatto che la letteratura italiana eccetera.

 

In memoriam sergio nelli

nelliQuesta notte è morto Sergio Nelli, scrittore fiorentino con cui ho condiviso un pezzo del mio percorso quando stavo nella redazione del Primo amore. Non lo vedevo da tempo, sapevo che era malato ma non avevo sue notizie. Gli volevo bene,  a Firenze un giorno mi portò a vedere i Prigioni di Michelangelo e me li raccontò come li si racconta a un figlio; grazie a lui ho scoperto uno scrittore ceco che ammiro molto, Ladislav Fuks. Nel 2008 pubblicammo il quarto numero cartaceo della rivista Il primo amore: si chiamava La fabbrica della cattiveria e Sergio scrisse un pezzo, per me molto bello, proprio su Fuks, che all’epoca era pressoché introvabile nelle librerie italiane.
Lo metto qui, come forma di saluto e di malinconia.

Sergio Nelli, Apprendistato per lo sterminio

Ladislav Fuks, Il signor Theodor Mundstock, trad. it. F. Brignole, Einaudi , Torino 1997.

Ladislav Fuks, Il bruciacadaveri, introduzione A.M. Ripellino, traduzione di E. Ripellino Hlochová, Einaudi,Torino 1972.

Ladislav Fuks, Una buffa triste vecchina, traduzione di Serena Vitale, Garzanti, Milano, 1972.

Il signor Theodor Mundstock  (1963)  ha riproposto nel 1997 un autore, Ladislav Fuks, che aveva avuto un passaggio in Italia negli anni Settanta  (con Il bruciacadeveri e Una buffa triste vecchina, ormai introvabili). Ladislav Fuks, nato a Praga nel 1923  e morto nel 1994, è riapparso così nelle nostre librerie, anche se come dicono alcune cronache i suoi due precedenti libri erano restati in gran parte nel magazzino degli editori. Il tempo era più che maturo per un piccolo ebreo praghese che, ai tempi della Shoah, finisce per preprogrammare esso stesso il proprio autoannientamento in un’oscillazione schizoide fra la speranza più improbabile e lo sguardo lucido sulle cose che stanno realmente per accadere.  Il tratto caratteristico di Fuks consiste qui nel rovesciare le prospettive continuamente mettendo in campo un’umanità che vede il disastro ma possiede anche una tale incontenibile  disposizione al rimedio, alla razionalizzazione, all’accomodamento, tanto da svariare sulle cadenze del comico, del patetico e del  grottesco, prima di andare incontro alla tragedia.

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Martedì scorso, 28 dicembre, con mia grande gioia sono diventato cittadino onorario della città di Gesualdo (AV).

Nelle foto, uno scorcio del castello dove visse e morì il principe Carlo (e dove è ambientata parte di Madrigale senza suono) e un momento della cerimonia di conferimento della cittadinanza.

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