un’educazione alla bellezza

Un ricordo.

L’altro giorno, mentre spostavo alcuni settori della mia biblioteca per fare posto a certi libri nuovi, mi sono capitati in mano due piccoli volumi, pubblicati oltre trent’anni fa e che da sempre mi porto dietro con un affetto che riservo soltanto ai libri dei miei grandi maestri. A dirla tutta, uno dei due non è nemmeno un libro nel vero senso della parola, ma semplicemente una raccolta di racconti rilegata e stampata in 510 copie (possiedo la 126) nel 1984 da una tipografia di Azzate, in provincia di Varese: si chiama Sul treno della Nord e, come recita il sottotitolo, contiene Vecchie storie di provincia. Il secondo libro, invece, ha un editore, benché minuscolo: Lago Maggiore – ed è un romanzo, con un titolo a suo modo evocativo, Il diavolo in soffitta, e un sottotitolo che spiega ciò che non andrebbe spiegato: Tra Milano e Varese, una storia degli anni Cinquanta. Nel primo libro sono raccolte storie popolari, alcune inventate altre riprese dalla tradizione orale della zona da cui provengo, il varesotto, e raccontate seguendo la linea fisica e insieme immaginaria dei binari del treno che collega il Lago Maggiore a Varese a Saronno e a Milano; nel secondo si raccontano, sotto il magistero di Piero Chiara e di Mastronardi, le vicende di un prete arrivato a gestire una parrocchia di provincia, e certe tentazioni che arrivano se si lascia aperta un pochino la porta. In realtà non mi ricordo quasi nulla, del Diavolo in soffitta: lo lessi nel 1991, a tredici anni, senza capire se fosse un libro buono oppure no. Non è importante: mi rimane, di quella lettura, la sensazione strana che provai quando, una volta arrivato all’ultima pagina, scoprii che no, il diavolo che avevo atteso per quasi duecento pagine non c’era davvero, o almeno non nella forma che mi ero aspettato; e mi rimane la descrizione di un seno, intravisto tra le pieghe di una camicetta grazie a un bottone lasciato aperto – descrizione di cui ricordo il sapore, non le esatte parole (a parte il termine “globi” per dire “seni”), e che però mi torna in mente – il sapore, appunto – ogni volta che in un mio libro deve comparire un corpo nudo.

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Questi libri sono stati scritti da Pietro Croci, che è stato il mio maestro di quinta elementare nella scuola “Ignoto Militi” di Saronno. Per qualche motivo, aveva intuito che anch’io, come lui, avrei potuto scrivere, e me ne scrisse nelle dediche che mi fece, e che riporto qui:

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Ero orgoglioso di queste parole, di cui non capivo la portata, l’attesa, nulla; non le vivevo come un presagio né come una condanna, ma ci ripenso spesso ancora oggi, a trent’anni di distanza, senza aver bisogno di scovare nella mia biblioteca le copie dei libri di Pietro Croci: fanno parte del mio patrimonio personale.

Il mio maestro era un tipo strano, almeno per i nostri standard provinciali dell’epoca: sempre spettinato, con la barba da fare, portava i jeans e delle camicione che, pochi anni più tardi, avrei cominciato a indossare anch’io per copiare certi cantanti. Veniva a Saronno in bici da Gerenzano, che è il paese confinante: con qualsiasi clima, in qualsiasi stagione, lui per venire a insegnare faceva ogni giorno, per alcuni chilometri, la varesina, che è una delle strade statali più brutte e affollate che mi sia mai capitato di frequentare; parcheggiava la bici in cortile, salendo le scale si toglieva lo zaino e, ogni mattina, ne estraeva un disco diverso, che faceva girare su un giradischi che aveva portato in classe il primo giorno dell’anno: cominciavamo ogni giorno le lezioni ascoltando per cinque-dieci minuti, mai di più, pezzi di Beethoven, di Vivaldi, che lui amava, di Bach, di Verdi. Non conosco educazione alla bellezza più vitale di questa.

Ebbene l’altro giorno, risfogliando i suoi libri, ho visto che il maestro Croci è del 1952: all’epoca aveva dunque solo 37 anni, era più giovane di me che adesso scrivo, e oggi so che il suo vero contributo alla mia educazione è stato far ascoltare a un gruppo disomogeneo di decenni delle musiche che la maggior parte di loro non aveva mai sentito prima né avrebbe sentito dopo; poi, il venerdì, anziché fare ginnastica, ci portava in un parco e ci lasciava liberi per due ore di fare ciò che volevamo – e per noi significava ovviamente giocare a pallone. Venne solo una volta a scuola in auto, perché la bici era buca: possedeva un’enorme, buffa 128 gialla con gli interni rossi, forse eredità di qualche zio.

Pubblicò i suoi libri e ci invitò alle presentazioni in biblioteca: per il Diavolo c’erano due ragazzi, due suoi ex allievi, credo, incaricati di leggere dei brani.

So che per anni Pietro Croci ha continuato a insegnare a Saronno, ma l’ho perso di vista. L’ho incontrato, dopo il diploma di quinta, una sola volta, alla presentazione del mio primo libro: mi ha fatto delle domande stralunate (se scrivessi a mano o a computer, se amassi le stilografiche come le amava lui, che era da sempre un uomo di un’altra epoca trapiantato nella nostra); ci siamo scambiati i numeri di telefono, ma non ci siamo telefonati mai. Non so dove sia ora, che cosa faccia adesso che ha quasi 70 anni. Ogni volta che ho un incontro pubblico a Saronno e dintorni mi aspetto di incrociarlo, ma lui non c’è mai. Avrei molte cose da dirgli, forse. Il fatto di averlo perduto è uno dei dolori, benché minori, della mia vita; ma il fatto di averlo conosciuto, e di aver condiviso con lui un tratto di strada, è uno dei grandi doni che ho ricevuto.

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3 pensieri riguardo “un’educazione alla bellezza

  1. Che sorpresa!… Seine Majestaet der Zufall, come diceva il vecchio Fritz. Ieri notte cercavo come sempre alcune notizio su alcuni filosofi su internet. ad un certo punto non so perché ho digitato nomi di persone che conosco -poi il mio. E trovo questo tuo racconto. Sono il Pietro Croci del tuo ricordo. Non so come ringraziarti. Ti do il mio tel. 3478603849.

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